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COP29: ambientalisti delusi dall’accordo. Ecco perché

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COP29: ambientalisti delusi dall’accordo. Ecco perché
Legambiente boccia l’accordo sulla finanza climatica raggiunto dalla COP29, definendo l’impegno dei Paesi industrializzati “inadeguato” Scopriamo di più

La COP29, cioè la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, riunita a Baku (Azerbaijan), è giunta a un accordo finale. Ma questo viene definito “pessimo” dagli ambientalisti. Perché? Leggiamo la posizione di Legambiente.
“Un pessimo accordo per i Paesi più poveri in prima linea contro la crisi climatica. A Baku l’Europa e gli altri Paesi industrializzati non sono stati in grado di fornire ai più poveri e vulnerabili le necessarie risorse finanziarie per superare insieme la drammatica emergenza climatica globale. Serve subito una forte leadership europea per poter raggiungere il prossimo anno in Brasile una revisione ambiziosa degli impegni dell’Accordo di Parigi”.  
Legambiente boccia l’accordo raggiunto a Baku sulla finanza climatica, che impegna i Paesi industrializzati a mobilitare appena 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035, all’interno di un vago traguardo di 1.300 miliardi che si spera di raggiungere grazie al contributo di tutti gli attori pubblici e privati. L’Europa e gli altri Paesi industrializzati non sono stati in grado di fornire ai più poveri e vulnerabili le necessarie risorse finanziarie per superare insieme la drammatica emergenza climatica globale. 
“L’accordo finale raggiunto alla Cop29 sulla finanza climatica - commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente - è davvero pessimo. Si tratta di un impegno fortemente inadeguato, che tradisce le rassicurazioni, fatte in questi 3 anni di faticosi negoziati, di garantire ai Paesi più poveri e vulnerabili le necessarie risorse per decarbonizzare le loro economie e rispondere con mezzi adeguati ai sempre più frequenti e devastanti disastri climatici. Servono, infatti, almeno 1.000 miliardi di dollari l’anno (400 per loss&damage e 300 sia per l’adattamento che la mitigazione) di sole risorse pubbliche da parte dei Paesi industrializzati, sotto forma di ‘grant-equivalent’, ossia calcolati come sovvenzioni. Altrimenti si rischia di aggravare ulteriormente la crisi debitoria dei Paesi poveri e vulnerabili, visto che gli aiuti ricevuti sino ad ora sono stati soprattutto (69% nel 2022) sotto forma di prestiti. Risorse pubbliche che possono essere rese disponibili grazie al phasing-out dei sussidi alle fossili ed alla tassazione delle attività a forte impatto climatico, in grado di mobilitare sino a 5.000 miliardi di dollari l’anno. Chiediamo all’Europa di mettere in campo una forte leadership europea, pericolosamente assente a Baku, per poter raggiungere il prossimo anno in Brasile una revisione ambiziosa degli impegni dell’Accordo di Parigi. A Belem, infatti, si dovranno aggiornare gli attuali impegni al 2030 e fissare i nuovi per il 2035, secondo quanto previsto dall’Accordo di Parigi ed in coerenza con quanto richiede l’IPCC”.  
Come evidenzia l’ultimo rapporto dell’IPCC, per mantenere vivo l’obiettivo di 1.5°C e poter raggiungere entro il 2050 la neutralità carbonica, è indispensabile mettere in campo politiche climatiche ambiziose, in grado entro il 2030 di ridurre le emissioni climalteranti globali del 43% e del 60% entro il 2035, rispetto ai livelli del 2019. Nonostante la prevedibile inazione climatica della nuova Amministrazione Trump negli Stati Uniti, per superare l’emergenza climatica serve un’immediata inversione di rotta, soprattutto nei Paesi industrializzati ed emergenti. Come evidenzia il recente Emissions Gap Report dell’UNEP, serve subito mettere in campo ambiziose politiche climatiche in grado di garantire nel prossimo decennio una riduzione delle emissioni climalteranti di almeno il 7.5% l’anno. Altrimenti la continuazione delle attuali politiche ci condurrà a un ‘catastrofico aumento della temperatura sino a 3.1°C’.

COP29: cosa dovrebbe fare l’Europa?

“È nell’interesse dell’Europa, fortemente colpita dalla crisi climatica, mettere in campo - aggiunge Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente - una forte leadership globale e fare da apripista dotandosi di un’ambiziosa politica climatica in grado di ridurre le emissioni climalteranti di almeno il 65% entro il 2030 e dell’82% per il 2035 in modo da poter raggiungere la neutralità climatica già entro il 2040. Impegno ambizioso e fattibile, come dimostra la riduzione delle emissioni climalteranti realizzata lo scorso anno dall’Europa. Nel 2023 si è registrata nella Ue una riduzione dell’8.3% delle emissioni rispetto al 2022, grazie al grande contributo di rinnovabili ed efficienza energetica, in linea con quanto richiede il rapporto UNEP e da confermare nei prossimi anni con nuovi obiettivi ambiziosi in grado di contribuire a contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C.  Tuttavia, per accelerare la transizione energetica e fronteggiare con successo l’emergenza climatica, oltre ad un’azione climatica ambiziosa dell’Europa e delle altre economie avanzate, servono politiche climatiche altrettanto ambiziose anche nei Paesi in via di sviluppo, impossibili da realizzare senza un adeguato sostegno finanziario soprattutto dei Paesi industrializzati. Cruciale, pertanto, è il ruolo che la finanza climatica è chiamato a giocare nei prossimi anni”.