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Decarbonizzazione: come l’edilizia può vincere la sfida?

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Decarbonizzazione: come l’edilizia può vincere la sfida?
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La decarbonizzazione non riguarda solo le emissioni degli edifici finiti, ma anche quelle derivanti dalla loro costruzione. Facciamo il punto della situazione

Gli Accordi di Parigi del 2015 prevedono di mantenere l’innalzamento medio della temperatura globale sotto gli 1,5 °C. Quelli previsti dal Green Deal europeo impongono un taglio delle emissioni climalteranti del 55% entro il 2030, fino al loro azzeramento entro il 2050. Per il loro raggiungimento, è fondamentale il contributo del settore costruzioni. Ma come possiamo vincere la sfida della decarbonizzazione?

Quando si parla di emissioni di CO2 in edilizia, il riferimento principale è a quelle derivanti dall’utilizzo degli edifici(siano essi residenziali, commerciali o per uffici) e raramente si menziona il concetto di carbonio incorporato (embodied carbon), che include le emissioni derivanti dall’origine dei materiali da costruzione, il loro trasporto e le fasi di gestione del cantiere.

Ad accendere i riflettori sul tema e sulla assenza in Italia di una normativa sul carbonio incorporato per tutti gli edifici, tornano Legambiente e Kyoto Club,che, nell’ambito del progetto ECF “Emissioni di carbonio incorporate nel settore delle costruzioni”, presentano, presso il Dipartimento di Architettura (DiARC) dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, la seconda edizione del report “Decarbonizzare le costruzioni: la nuova sfida del settore edilizio”. Il dossier, nato dalla volontà di voler ripensare il settore dell’edilizia, meno impattante dal punto di vista ambientale, di consumo di suolo e di materiali, fa il punto sul carbonio incorporato, sintetizzando dati e studi internazionali, nuovi regolamenti e norme, aggiornando le migliori pratiche sulle innovazioni nel settore dei materiali e sulle emissioni di carbonio incorporato. Come il Regolamento Edilizio approvato dal Comune di Modena, che stabilisce 5 principi dell’economia circolare e i progetti sul recupero degli edifici storici con materiali locali e riciclati mappati in tutta Italia. Buone pratiche che dimostrano l’attivazione dei territori a fronte di uno stallo normativo dell’Italia, a differenza di altri Paesi europei come la Francia, Danimarca, Norvegia e Svezia.

Da qui la richiesta che le due Associazioni fanno al Governo di agire con atti e indirizzi concreti, stabilendo obiettivi e standardminimi tramite norme e leggi, seguendo il percorso avviato a livello europeo.

“Il Governo - afferma Gabriele Nanni, ufficio scientifico di Legambiente - deve agire stabilendo da subito l’obiettivo finale di arrivare al 2040 con tutti i nuovi edifici e quelli ristrutturati, pubblici e privati, per i quali le emissioni climalteranti, calcolate nell’intero ciclo di vita, devono essere inferiori del 60% rispetto ai valori medi attuali. Al tempo stesso il 100% dei rifiuti dovrà essere avviato a processi di riciclo, recupero e riuso. Il percorso, come sta avvenendo in Francia e nei Paesi scandinavi, dovrà prevedere anche delle tappe intermedie, con limiti di emissioni globali degli edifici inferiori del 30% al 2030 e del 45% al 2035, in modo da verificare i progressi dei settori industriali coinvolti e l’efficacia delle azioni; acceleri anche sulla riqualificazione degli edifici, introducendo normative e parametri sempre più stringenti, pensando alle diverse opzioni, simulando la selezione di materiali, geometrie, impiantistica, sempre nell’ottica della sostenibilità, sia in fase di realizzazione sia in quella operativa”.

Secondo le stime di Green Building Council, oltre il 50% delle emissioni totali di carbonio di tutte le nuove costruzioni globali tra il 2020 e il 2050 saranno dovute al carbonio incorporato, legate ai materiali ed alla fase di costruzione (o ristrutturazione) degli edifici. Da prendere in considerazione è anche il concetto dell’energia incorporata (embodied energy) usata per realizzare un prodotto, includendo l’estrazione delle materie prime (o l’utilizzo di materiali naturali e/o riciclati), il trasporto, la manifattura, l’assemblaggio, l’installazione e le fasi di fine vita. A ciò si lega il peso dei materiali da costruzione “tradizionali” (cemento, laterizi, aggregati) per via degli impatti paesaggistici ed ambientali durante il prelievo, in particolare in un Paese come l’Italia, dove sono tradizionalmente presenti materiali litoidi di pregio. Secondo il Rapporto Cave 2021 di Legambiente, sono 4.168 cave autorizzate, 14.141 dismesse o abbandonate e 29 milioni i metri cubi di sabbia e ghiaia estratti all’anno a cui si aggiungono 26,8 milioni di metri cubi di calcare e 6,2 milioni di metri cubi di pietre ornamentali, materiali largamente impiegati nel settore edilizio.

Il quadro normativo

A livello europeo la normativa di riferimento per la valutazione dell’energia e del carbonio incorporati negli edifici è la EN 15978:2011, che indica le varie fasi necessarie alla realizzazione di un edificio e ne suddivide gli impatti relativamente ai livelli di carbonio incorporato in impatti iniziali, ricorrenti e di fine vita e recupero. Inoltre, il 30 marzo 2022 la Commissione europea, allo scopo di realizzare un mercato unico ed efficiente per i materiali da costruzione e contribuire al raggiungimento degli obiettivi della transizione verde e digitale, ha pubblicato la proposta di revisione del Regolamento per i Prodotti da Costruzione, con una prima discussione sulla revisione lo scorso 15 giugno. 

In Italia, nell’ultimo anno, un timido passo avanti in direzione di demolizione selettiva e il recupero dei materiali da edifici esistenti è stato fatto con il Decreto 27 settembre 2022 n. 152, che stabilisce i criteri secondo i quali gli inerti derivanti da attività di costruzione e di demolizione cessano di essere qualificati come rifiuti. 

Mentre la Francia, insieme a Danimarca, Norvegia e Svezia, continua a essere apripista con lanuova normativa ambientale RE2020, che sancisce nuovi obblighi, crescenti negli anni, per i costruttori, in termini di prestazioni energetiche e di carbonio per l’intero ciclo di vita degli edifici.

“Le tecnologie alternative al gas e alle altre fonti fossili per decarbonizzare i nostri riscaldamenti, come le pompe di calore - aggiunge Giacomo Pellini, responsabile comunicazione di Kyoto Club -, sono centrali nella transizione globale verso la neutralità climatica. È necessario che vi sia un maggiore sostegno politico e finanziario da parte dei governi nel supportare le famiglie nel superare i costi iniziali più elevati delle pompe di calore e delle altre tecnologie pulite rispetto alle alternative fossili. In molti Paesi sono presenti diversi sussidi economici e finanziari. È auspicabile che il Governo italiano reintroduca il sostegno economico per promuovere l’installazione di pompe di calore, pannelli fotovoltaici e altre tecnologie a zero emissioni. La nuova misura dovrà attuare una più efficiente allocazione delle risorse su interventi davvero meritevoli del sostegno pubblico, con gli obiettivi della decarbonizzazione, del risparmio energetico e del contrasto alla povertà energetica”.