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Edilizia: quanti rifiuti produce il nostro settore?

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Edilizia: quanti rifiuti produce il nostro settore?
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Mettiamo l’edilizia sotto la lente d’ingrandimento per capire quanti rifiuti produce il settore, quanti di questi vengano poi riciclati e cosa frena il riuso

I lavori di costruzione e demolizione di edifici e gli interventi di ristrutturazione producono una gran mole di rifiuti. È sotto gli occhi di tutti. Ma è possibile tradurre in numeri questa evidenza? L’ha fatto REF Ricerche con il documento “Riciclare i rifiuti da costruzione e demolizione. L’economia circolare alla prova dei fatti”. Emerge come quasi la metà dei rifiuti prodotti in un anno in Italia vengano dall’edilizia.

Si tratta di circa 70 milioni di tonnellate (400.00 tonnellate dagli urbani, tutto il resto dai circuiti speciali) pari al 48,4% del totale dei rifiuti non pericolosi. La quantità è aumentata del 28% dal 2016 al 2019.

Secondo le statistiche ufficiali, il tasso di avvio al recupero degli scarti da costruzione e demolizione (inteso come preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e altre forme di recupero di materia) si attesta al 78% dei rifiuti prodotti. Molto diverso invece, e più problematico, è lo scenario descritto dagli operatori: materiali da costruzione lasciati nei magazzini o comunque non utilizzati nei cantieri per mancanza di mercati competitivi.

A complicare vieppiù la situazione ci sono criticità di tipo regolatorio. Il riciclo effettivo è ancora disincentivato dal basso costo e dalla maggiore “sicurezza” normativa dei materiali vergini estratti da cava. Inoltre la filiera del recupero sconta un elevato tasso di illegalità. E’ infatti tra le frazioni con il più alto ricorso agli abbandoni incontrollati, come dimostrano i dati sui sequestri di siti di smaltimento non autorizzati.

Una regolamentazione farraginosa

Buona parte del problema risiede nel fatto che i rifiuti C&D sono stati oggetto di un quadro di regolamentazione molto farraginoso e a tratti contraddittorio. Da quasi 10 anni, questa tipologia di rifiuti attende un apposito decreto End of Waste che favorisca la nascita di catene del valore efficaci e certe. Tuttavia, ogni tentativo è fallito a causa di limiti tabellari, nel decreto sotto esame, particolarmente severi sugli inquinanti nei prodotti da riciclo. Il che renderebbero le attività di recupero ancora più problematiche e sicuramente più costose.

Sulla spinta del Pnrr il ministero della Transizione ha redatto una nuova versione del decreto End of Waste che a marzo, dopo un lungo braccio di ferro tra Ispra e associazioni di produttori di aggregati riciclati e degli operatori edili, è stata inviata alla UE e al Consiglio di Stato.

Il testo ha però ricevuto parecchie critiche. La sua applicazione infatti favorirebbe le discariche e i cavatori (produttori di materiali vergini) e circa l’80% degli aggregati riciclati prodotti non risulterebbe in regola con i nuovi e più stringenti limiti.

In pratica l’esatto contrario della ratio per il quale sarebbe stato scritto, ovvero sostenere il recupero e la produzione di materie prime seconde.

Il paradosso in questo caso è l’aver scelto di alzare eccessivamente in alto l’asticella del principio di precauzione e della tutela ambientale, ottenendo come unico risultato quello di disincentivare ulteriormente la produzione e l’impiego degli aggregati riciclati.