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Greenpeace, Wwf e Legambiente: il decreto del Fare 2 dia impulso alle Rinnovabili

Energie rinnovabili di
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Sul decreto c’è poca trasparenza e gli ambientalisti non si fidano delle smentite del Ministero dello Sviluppo Economico, visto che si è solo precisato che “non si è ancora trovata una sintesi”


Dare impulso alle fonti rinnovabili e all’uso efficiente dell’energia e delle risorse, non ai combustibili fossili e alle attività non sostenibili: questa deve essere la prospettiva del decreto del 'Fare 2' se si vuole puntare a dare un futuro all’energia e all’economia: è quanto dichiarano le associazioni ambientaliste Greenpeace, Legambiente e WWF, allarmate per le voci sui sussidi al carbone e sulle modifiche agli incentivi per le rinnovabili.

Sul decreto c’è poca trasparenza, visto che sono circolate versioni complete di un articolo che stabiliva un sussidio per una centrale a carbone nel Sulcis prelevato dalla bolletta dei consumatori, versioni poi smentite. "Realizzare un impianto a carbone in quell’area sarebbe un abominio, in un sol colpo si metterebbero insieme la fonte maggiormente responsabile di inquinamento e cambiamenti climatici, la miniera più antieconomica d'Europa, il sistema di sussidio ai fossili meno trasparente, nonché il più iniquo per i consumatori", si legge nel comunicato congiunto.

Gli ambientalisti non si fidano delle smentite venute dal Ministero dello Sviluppo Economico, visto che si è solo precisato che “non si è ancora trovata una sintesi”, senza offrire nessun chiarimento sulle premesse. Greenpeace, Legambiente e WWF chiedono al Governo di non approvare alcun sussidio, palese o surrettizio, ai combustibili fossili, tantomeno al carbone, il più inquinante. Ai parlamentari gli ambientalisti chiedono di essere vigili e annunciano che, nel caso in cui la norma circolata fosse effettivamente varata, porterebbero la questione in tutte le sedi, italiane ed europee.

La Commissione UE in passato aveva avviato procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per aiuti di stato al progetto del Sulcis: gli incentivi che si voleva dare all’energia elettrica prodotta da carbone (equiparandola a fonti rinnovabili) avrebbe costituito una palese distorsione della concorrenza.

Le voci in bolletta connesse alle fonti fossili - secondo diversi studi, - sono già passate dal 31 al 57% del totale. Di contro, i soldi spesi per il sostegno degli impianti che producono energia rinnovabile producono un saldo positivo stimato tra i 30 e i 76 miliardi di euro. Inoltre, l’Autorità per l’Energia ha appena approvato uno schema per il capacity payment (in pratica, le centrali in sovrannumero vengono pagate solo perché assicurano la potenziale produzione di energia elettrica necessaria, non perché la producono davvero) senza che questo sia stato inquadrato in un piano adeguato per la chiusura delle centrali non necessarie e per lo sviluppo delle fonti rinnovabili in sostituzione della capacità fossile.

Secondo Greenpeace, Legambiente e WWF l’Italia deve puntare su efficienza energetica ed energie rinnovabili, comparti nei quali esprime enormi potenzialità, e non consegnarsi mani e piedi alla dipendenza energetica dalle fonti fossili: in tal senso, è necessario che ci si doti di obiettivi concreti, a livello europeo e italiano; e che il Governo si impegni concretamente, in sede UE, affinché vengano previsti target di crescita delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, oltre che di contenimento delle emissioni di gas serra, per il 2030. Derive come quella di una centrale a carbone nel Sulcis indicano come obiettivi cogenti su rinnovabili ed efficienza siano essenziali per “aiutare” il Paese a tenere la barra a dritta.

Il Sulcis, sottolineano gli ambientalisti, produce un carbone particolarmente sporco (zolfo) e dallo scarso potere energetico. E’ quindi diseconomico, oltre che cinico, che gli ex minatori del Sulcis vengano impiegati per sostenere una produzione senza futuro, invece di cercare concrete e durature alternative occupazionali nel comparto dell’energia davvero pulita. A riscattare il progetto non basterebbe prevedere la realizzazione di un impianto di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), una tecnologia sperimentale, molto costosa e ancora poco affidabile; gli ambientalisti si oppongono all'idea che a pagare gli impianti  di CCS siano i consumatori.

"E’ possibile che il Governo scelga di fare un investimento a perdere ipotecando i prossimi 20 anni quando in Italia siamo in presenza di una sovrapproduzione energetica e di migliaia di lavoratori delle centrali termoelettriche in cassa integrazione? Si consideri inoltre che in Sardegna sono già operative altre due centrali a carbone e che sono in discussione ulteriori due progetti di impianti alimentati con quella fonte: una vera condanna, dal punto di vista economico, ambientale e sanitario per quella terra", concludono gli ambientalisti.