In cosa consiste il nuovo concetto di Centro Commerciale? [Caratteristiche] Per esempio Il fatto che sono strutturalmente “scoperti” oppure che stanno diventando un luogo di esperienze ludico-ricreative-culturali […]
Credo non sia giusto parlare di un “nuovo concetto” di centro commerciale – come se si volesse contrapporlo ad un “vecchio concetto”.
Il processo di evoluzione dei centri commerciali è stato lento ma continuo, dalla loro apparizione in Italia all’inizio degli anni ’70 ad oggi e non è certo terminato.
Molto sinteticamente, un centro commerciale può essere definito come una aggregazione di diverse attività commerciali, ricreative e di servizio, concepita, progettata, realizzata e gestita unitariamente, per creare un luogo di facile accessibilità e di piacevole frequentazione, nel quale si realizzino le migliori condizioni per un incontro soddisfacente tra domanda e offerta.
Questi contenuti erano presenti sin dall’inizio: quello che è cambiato, dagli anni 70 ad oggi è la diversa rilevanza che hanno assunto le varie componenti di questa “formula”, in parallelo con l’evoluzione del mercato verso la “experience economy”.
In questo contesto il frequentatore di un centro commerciale non è tale in funzione dell’acquisto di beni e servizi come soddisfazione delle proprie necessità o aspirazioni, ma si aspetta che il “luogo centro commerciale” generi una “esperienza” gratificante principalmente come attività di socializzazione, di cui l’acquisto è solo una componente non obbligatoria.
Quindi, se inizialmente l’accento era sull’efficienza degli scambi commerciali, oggi è sulla rispondenza del centro commerciale al ruolo di luogo di frequentazione.
Questa evoluzione “concettuale” ha generato in parallelo una evoluzione nei contenuti dei centri – aggiungendo alle componenti strettamente commerciali anche importanti presenze di attività di ristorazione, ricreative e di servizio – e nella loro struttura “fisica”, con una particolare attenzione alla qualità architettonica complessiva ed in particolare alla qualità ed ampiezza degli spazi destinati alla circolazione e alla sosta dei frequentatori.
Oggi il centro commerciale – anche in tutte le sue diverse declinazioni, come i factory outlets, i parchi commerciali e i “lifestyle centres” – è prima di tutto un luogo esperienziale.
E’ interessante notare che questa graduale mutazione sia stata rilevata anche a livello accademico: si è passati dall'identificazione di Marc Augé dei centri commerciali come “non luoghi” alla metà degli anni 80, alla loro qualificazione a partire dal 2005 come “superluoghi”, sedi di nuove pratiche di scambio sociale, economico e culturale, sino ad una recente una ricerca (Lazzari & Jacono, 2010) che ha mostrato come i "nativi digitali" non li percepiscono come una cosa altra da sé: sfuggendo la retorica del non luogo e ogni snobismo intellettuale, sentono il centro commerciale come un luogo vero e proprio, di frequentazione non casuale e non orientata soltanto all'acquisto, dove si può esprimere la propria socialità.
Persino Augé ha dovuto recentemente convenire che "…qualche forma di legame sociale può emergere ovunque: i giovani che si incontrano regolarmente in un ipermercato, per esempio, possono fare di esso un punto di incontro e inventarsi così un luogo".
Con buona pace dell’illustre sociologo francese, un ipermercato non è un centro commerciale – così come la scatola del cambio non è un motore di automobile - e la libera scelta di un centro commerciale come luogo di incontro da parte dei giovani dimostra che chi lo ha concepito, progettato e realizzato ha probabilmente una maggiore comprensione delle dinamiche sociali del nostro tempo di quanto non gli riconosca una parte – fortunatamente sempre minore - del mondo accademico.
Il Nuovo concetto di Centro Commerciale:
- In che modo e perché è “strategico” ai fini di rilanciare lo sviluppo dei progetti?
Più che strategico lo definirei essenziale.
Come ho detto all’inizio, il concetto di centro commerciale come luogo esperienziale è il risultato di una evoluzione che ha risposto alle mutazioni della società contemporanea.
La sfida dei prossimi anni sarà quella di anticipare le future mutazioni, perché – come tutte le strutture complesse - i centri commerciali hanno poca flessibilità, una volta realizzati
Questo vuol dire anche saper anticipare le conseguenze, sul sistema economico-finanziario, sulla struttura sociale e sui comportamenti dei frequentatori attuali dei centri, della crisi economica tuttora in atto, che si sta chiaramente delineando come una crisi sistemica, dovuta all’amplificazione a livello globale di un problema settoriale per effetto di meccanismi intrinseci al sistema economico.
Il processo di correzione di questi meccanismi – già in atto - porterà prevedibilmente ad effetti sul sistema economico globale paragonabili a quelli che ebbero gli Accordi di Bretton Woods del 1944.
Per gli sviluppatori di nuovi centri commerciali questo vuol dire adeguarsi ad una minor disponibilità di finanziamenti, a condizioni di credito più onerose, ad un assai maggior rigore nel valutare i risultati economici attesi, ma soprattutto avere la capacità di produrre nuove realizzazioni che siano in sintonia con le future aspettative dei potenziali frequentatori.
Anche il mondo del retail ha la stessa esigenza – in sintesi quella di produrre innovazione per anticipare il mercato – ma ha una flessibilità e una capacità di adattamento molto superiore, per l’assai minore rigidità intrinseca.
Diventa quindi fondamentale lo scambio di informazioni ed il confronto continuo tra i maggiori retailers e gli sviluppatori di centri commerciali, per creare un terreno di crescita culturale comune.
- Può essere motivo di una più forte attrattività nei confronti dei retailers internazionali?
Anche sotto questo profilo si tratta più di una necessità che di una opportunità: se i retailers internazionali non “vedono” in un progetto di centro commerciale le caratteristiche necessarie per farne un luogo attraente per il loro segmento di clientela, non prendono neppure in considerazione l’ipotesi di collocarvi un loro punto di vendita.
Ogni retailer ha un proprio posizionamentoe si rivolge a un preciso segmento di mercato, caratterizzato da specifici parametri di capacità di spesa, stile di vita, classe di età, tutti elementi che condizionano non solo la “brand image” del punto di vendita, ma anche la sua localizzazione, che può avvenire solo in contesti che siano in sintonia con tale immagine.
Quindi possiamo considerare morta e sepolta – nei mercati evoluti come quello italiano - la figura dello sviluppatore che realizza centri commerciali “trasversali” destinati a soddisfare tutte le esigenze di tutti i tipi di frequentatori, semplicemente perché “c’è il mercato”
Oggi bisogna interrogarsi non solo sugli elementi quantitativi ma anche su quelli qualitativi: se il mercato c’è ed è ampio, quale segmento voglio servire e quindi quali retailers voglio attirare? Quale ambiente desiderano i frequentatori interessati all’offerta di questi retailers? Quali caratteristiche architettoniche, di immagine complessiva e di ambientazione dovrà avere il mio centro commerciale per essere in linea con la “brand image” dei potenziali operatori?
Sono tutte domande difficili alle quali non si possono dare risposte senza conoscere a fondo il mondo del retail e senza un costante rapporto di collaborazione tra sviluppatori e retailers, non occasionale su uno specifico progetto, ma continuo nel tempo.
Tutto questo è, come dicevo, una necessità, perché solo i progetti che siano - per quanto possibile - una perfetta interfaccia tra i frequentatori attesi e gli operatori presenti, potranno avere un successo duraturo.
- E’ uno strumento per rilanciare la fiducia nei confronti del credito bancario e degli investitori italiani e internazionali?
Certamente sia il sistema bancario che gli investitori sono e saranno sempre più attenti ai contenuti qualitativi di ogni progetto – oltre che sempre più rigorosi ed esigenti nel valutare i piani economici presentati a corredo delle richieste di finanziamento o delle proposte di vendita.
Nel contesto attuale e per molti anni a venire, il passo fondamentale per decidere se finanziare o meno un progetto di sviluppo sarà l’analisi del rischio.
E il rischio intrinseco nell’operazione verrà considerato ridotto quanto più un progetto di sviluppo sarà preciso e dettagliato, quanto più le sue caratteristiche, anche immateriali, verranno motivate e giustificate da ricerche e analisi approfondite, quanto più il piano economico sarà prudente e credibile.
Restano alcuni importanti elementi – anch’essi essenziali per rilanciare la fiducia degli investitori finali – che non sono sotto il controllo delle società di sviluppo, ma che dipendono dal quadro normativo del nostro Paese e su questo fronte le notizie non sono affatto positive.
Uno è il trattamento fiscale degli investimenti immobiliari – in particolare dei Fondi di Investimento Immobiliari, che sono i veicoli principali di questa attività – che deve essere almeno altrettanto favorevole quanto quello degli altri Paesi europei e che deve essere stabile nel tempo anche sul lungo periodo, dato che appunto di investimenti di lungo periodo si tratta.
L’ultima finanziaria conteneva a questo proposito norme peggiorative di quelle in essere e del tutto disancorate dal reale obbiettivo che si intendeva – almeno a parole – perseguire; il successivo regolamento, che avrebbe potuto essere la sede per qualche indispensabile correzione, ha confermato l’impostazione iniziale con minimi ed insufficienti aggiustamenti.
E’ difficile pensare che un simile comportamento possa generare fiducia negli investitori internazionali.
Il secondo grave ostacolo – che sembra una malattia endemica della nostra economia – è l’assoluta incertezza nel “time to market” dei progetti di sviluppo.
L’incredibile (e a volte volontaria) disattenzione delle amministrazioni locali, con leggi non rinnovate da anni, regolamenti antidiluviani, discrezionalità totale di molte autorità tutorie e una progressiva divaricazione delle normative urbanistiche e commerciali a livello regionale, combinata con gli effetti devastanti di vertenze amministrative radicate nella interpretazione di un “corpus legis” abnorme per dimensioni e a volte contraddittorio, rendono incerto anche il cammino delle più serie iniziative imprenditoriali, a volte vanificando i risultati degli studi iniziali per il semplice trascorrere del tempo.
Credo che nessun progetto di sviluppo – in Italia - abbia qualche reale possibilità di arrivare a completamento prima di sei o sette anni dal momento in cui viene concretamente avviata la sua analisi, ma vi sono casi in cui sono trascorsi decenni e la media è probabilmente intorno ai dieci anni.
- Le Società di Sviluppo/Promotori hanno il know how per rispondere all’innovazione che il settore richiede?
Direi proprio di sì. E parlo di Società di sviluppo, non di costruttori.
Fare il “salto” da costruttori a sviluppatori non è facile, in particolare nello sviluppo dell’immobiliare commerciale e ancor più nello specifico settore dei centri commerciali.
Fortunatamente diversi operatori italiani hanno fatto questa importante crescita e sono perfettamente in grado di affrontare le nuove sfide che il futuro propone, da soli o in joint venture con gli sviluppatori internazionali da tempo presenti in Italia.
Lo prova il fatto che diversi Centri Commerciali realizzati in Italia da operatori Italiani sono stati finalisti nell’assegnazione del più prestigioso riconoscimento annuale a livello europeo, i Best European Shopping Centres Awards dell’ICSC.
- Che ruolo/contributo ha avuto e avrà EIRE sullo sviluppo del “nuovo centro commerciale”, ma anche rispetto alla “fiducia nei confronti del credito bancario” ?
EIRE sta assumendo sempre di più la connotazione di una “community”, piuttosto che quella di un “evento”.
Voglio dire che non è più solo uno dei tanti momenti di aggregazione e di networking degli operatori del real estate, ma un appuntamento periodico fondamentale per un intero settore economico, che ha generato rapporti abituali tra tutti gli operatori, rapporti che si stanno consolidando anche al di fuori dello specifico evento fieristico.
Per gli operatori dell’industria dei Centri Commerciali, in particolare, il confronto e il dialogo continuo sono estremamente importanti; come ho già detto il Centro Commerciale è per sua natura un “work in progress” che deve continuamente aggiornarsi ed evolversi per adeguarsi al mercato (e possibilmente per anticiparne i cambiamenti).
In questo senso EIRE è uno strumento prezioso, che permette il superamento di sterili individualismi e favorisce la crescita complessiva del settore con la condivisione di nuove idee, di esperienze individuali e di “best practices” che diventano patrimonio comune.
E’ evidente che questo favorisce lo sviluppo di iniziative correttamente concepite, progettate e realizzate: cioè le sole che il credito bancario considera finanziabili in questa congiuntura .
Vorrei aggiungere un ultima osservazione, che riguarda l’industria dei centri commerciali e l’accusa, che le viene costantemente rivolta, di essere un veicolo di sviluppo che interessa solo i grandi esercizi commerciali e non il commercio indipendente di piccole dimensioni, che non avrebbe alcun vantaggio ad insediarsi nei centri commerciali.
Nei giorni scorsi sono state pubblicate due rilevazioni: quella dell’ISTAT sulla variazione delle vendite al dettaglio nel 2010 rispetto al 2009 e quella del Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali, sulle variazioni delle vendite, nei soli centri commerciali, sempre nel 2010 rispetto al 2009:
Questi i dati ISTAT sull’intero commercio italiano:
- Vendite complessive al dettaglio + 0,2%
- Vendite delle imprese della grande distribuzione + 0,7%
- Vendite delle imprese su piccole superfici + 0,4%
e questi i dati relativi ai Centri Commerciali:
- Vendite complessive + 0,01%
- Vendite supermercati e ipermercati - 3,29%
- Vendite altri esercizi + 3,01%
di cui, in particolare
- Vendite degli esercizi inferiori a 250 mq + 2,61%
Credo che questi dati – che mostrano un incremento di vendite per i piccoli negozi nei centri commerciali più di sei volte superiore a quello medio nazionale – si commentino da soli.