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Intervista a Marco Piva: dal masterplan all’interior design

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A colloquio con Marco Piva, architetto e designer, fautore di una progettazione “trasversale” attenta ai materiali e alle innovazioni tecnologiche

Marco Piva è un architetto e designer la cui attività spazia dai grandi progetti architettonici alla progettazione d’interni, fino al disegno industriale. Viaggiatore prima ancora che progettista, studia e crea soluzioni progettuali intrise di libertà stilistica, gli oggetti si caricano di emozionalità e nuova simbologia, i colori contrastano ogni intellettualismo e rigidità. Ha realizzato numerosi progetti di architettura e interior design e dal 1999 integra il suo lavoro con l’insegnamento presso università e istituti di design sia in Italia che all'estero, e l’organizzazione di un corso di Master post-laurea, sia presso il Politecnico di Milano, che la Scuola Politecnica di Design e anche all'Istituto Europeo di Design di Milano.
A Marco Piva abbiamo rivolto alcune domande sulla sua attività e in particolare sul suo rapporto con la “materia legno”. Ecco quanto ci ha gentilmente risposto.

La sua attività è molto eclettica e spazia dall’architettura all’interior e all’industrial design. Qual è il filrouge che lega queste diverse esperienze progettuali?
L’architettura per me è sempre stata un tema di riferimento per quanto riguarda l’attività professionale ed essendomi formato un po’ di anni fa, quando in Italia non c’era una grande possibilità di esprimere architettura contemporanea con determinati tipi di valore e di innovazione, ho lavorato prevalentemente all’estero. Ciò mi aiutato in una certa misura a preparare lo studio su quelle che sono le procedure, i parametri, le modalità di sviluppo di progetti anche di grandi dimensioni secondo norme e metodiche che sono un po’ lontane da quelle tradizionali italiane, ma che sono più efficaci e sicuramente condivise a livello internazionale. Mi riferisco in particolare alla matrice di riferimento anglosassone che è quella che tuttora informa e struttura i progetti in giro per il mondo. Con questo non voglio dire che in Italia non ci siano stati in passato dei bacini di riferimento importanti, però questa esperienza più estera che italiana mi ha consentito di avere un po’ di libertà di azione e soprattutto di confrontarmi con dimensioni di progetto importanti quindi anche, in coordinamento con altri studi, con altre figure professionali, ingegneri, specialisti nella gestione del progetto permettendo così di collocarmi dal punto di vista professionale all’interno di un percorso abbastanza articolato e complesso.
Detto questo poi in Italia ovviamente sono nate delle opportunità e delle situazioni importanti e ho lavorato più che altro nel settore dell’architettura legata a tematiche relative al pubblico più che al privato (alberghi, centri congressi e convegni, soprattutto strutture che si articolavano appunto intorno al tema della ricettività). Per citare alcuni esempi abbiamo realizzato il Laguna Palace a Venezia, disegnato il T Hotel a Cagliari, contribuito al design dell’Hotel Exedra a Roma, progettato il B4 a Padova. Il tutto cercando ogni volta di inserire anche elementi di innovazione dal punto di vista tecnologico. A me interessa moltissimo il tema dei materiali, cerco sempre di fare un’operazione di progetto che sia trasversale a diverse discipline e quindi molto spesso all’estero - ad esempio negli Emirati Arabi, nel Qatar, adesso in Cina - partiamo dal masterplan per arrivare a completare il progetto anche a livello di interior design. Lo studio è strutturato essenzialmente in due filoni: masterplan e architettura; interior design e industrial design.
L’attenzione per i materiali - dalla materia di base alla sua applicazione -  in un interno o in un’architettura per me è un elemento importante di stimolo alla ricerca e all’ innovazione. Tutto ciò nasce da un legame che il mio studio ha consolidato nel tempo con diverse imprese che lavorano su queste tematiche e che collaborano con noi. Sono sempre stato molto curioso, molto attento e molto legato a queste aree di ricerca di base o sui componenti che si traducono poi in espressività sia architettonica che d’interior.

Come si caratterizza il suo rapporto con la “materia” legno?
Sicuramente i materiali che mi attraggono di più sono quelli che possono essere trattati in termini di tecnologia, di innovazione, di componentistica; è importantissimo sottolineare che c’è una grande area del design industriale che è rivolta a creare le componenti o le parti dell’architettura. Il legno è stato, insieme alla pietra, il primo materiale per l’architettura però poi è stato riconfigurato, rigenerato, strutturato in modo tale da poter farne il componente fondamentale di un’architettura contemporanea attenta a tutte le necessarie qualità dell’abitare che vanno dalla produzione dei componenti sino all’esaurimento del progetto architettonico. Il legno è sicuramente uno dei materiali più ecocompatibili ed ecosostenibili e oltre tutto ha delle prestazioni di livello altissimo. Essendoci adesso inseriti fortemente in questo filone sappiamo che si può fare architettura in legno certificabile fino a 12 piani (ma già gli antichi Romani arrivavano a 5, 6 piani con strutture in legno e laterizio). C’è una reinvenzione e un’attualizzazione di queste tecnologie che sicuramente sono di grande vantaggio, in più noi abbiamo realizzato un paio di episodi di ricerca strutturata con imprese di vario livello e abbiamo visto che questo materiale consente di concepire un’architettura che non si denuncia come in legno tout-court, ma come un’architettura che consente di esprimersi a livello estetico sia negli esterni che all’interno armonicamente con i contesti in cui va inserita. Ovviamente la struttura in legno può essere resa leggibile nella sua materialità, quindi con il legno all’esterno, o può essere anche completamente rivestita con materiali diversi. Questo per me è importantissimo perché crea una flessibilità del legno come struttura e lo sposa con i contesti territoriali.

In Italia si assiste ad una riscoperta dell’architettura in legno dopo anni di oblio a favore di un indiscriminato utilizzo del cemento, eppure molta strada resta ancora da compiere soprattutto a livello di formazione culturale e tecnologica…
Bisogna tener presente diversi fattori. La progressione c’è, ma c’è anche, come osserva lei, un pregiudizio nei confronti del materiale che è sempre stato legato nel nostro immaginario nazionale da una parte a un’idea di provvisorietà, di un materiale che si deteriora nel tempo, che apparentemente non ha la capacità statica e di permanenza nel tempo di una struttura di cemento armato; dall’altra parte c’è questo legame più “vernacolare” dell’uso del legno in determinati territori dove si armonizza con la natura. Si tratta di pregiudizi che vanno superati con l’applicazione della ricerca, con uno sforzo nel rendere queste strutture accettabili per altre ragioni. Ad esempio un cantiere che è centrato sulla tecnologia legata al legno - di dimensioni e proporzioni corrette (non un grattacielo di 30 piani) - dura la metà di un cantiere tradizionale perché tutto può essere disegnato prima, può essere prefabbricato e arrivare già codificato in cantiere.
C’è un controllo del progetto sicuramente molto più puntuale e l’impatto di un cantiere in contesto urbano è sicuramente minore perché c’è meno rumore, un minor utilizzo dei trasporti e una durata decisamente inferiore. Si tratta di una serie di vantaggi che devono essere messi nero su bianco per indurre determinate scelte che prima venivano assunte inequivocabilmente nell’ambito del cemento armato. La scelta va pilotata attraverso una combinazione tra sviluppatore, cliente e progettista senza dimenticare le imprese che lavorano il legno che hanno la capacità di codificare e certificare determinate prestazioni.
Per cui davanti ad un cantiere la cui durata è di due anni ed uno la cui durata è di un anno c’è un differenziale enorme non solo dal punto di vista dell’impatto citato prima, ma anche dei costi. A parità di volumi, a parità di geometrie, in certe situazioni il legno è decisamente vantaggioso anche dal punto di vista dei consumi successivi. Ad esempio dal punto di vista della gestione degli interni noi abbiamo fatto diversi interventi, non ultimo quello del Made Expo, dove abbiamo realizzato un’ipotesi di architettura articolata in vari componenti e dove abbiamo dimostrato che il legno può essere reso perfettamente visibile o può scomparire completamente assicurando una prestazione più qualificante rispetto ad una struttura di uguale geometria e di uguali dimensioni in cemento armato.
Per quanto riguarda il discorso dell formazione c’è ancora molta strada da fare per superare un certa visione dell’architettura che definisco “sovietica”, che ha portato alla realizzazione di edifici e quartieri desolanti privilegiando un concetto di permanenza espresso dal cemento armato e dal laterizio a scapito non solo del legno, ma anche dell’acciaio dove fino a un centinaio di anni fa avevamo una delle migliori scuole al mondo che aveva prodotto ad esempio le Gallerie di Milano e di Napoli.
La formazione va fatta anche con il contributo delle aziende e delle società che realizzano queste tecnologie e questi materiali. Seguiamo dei master al Politecnico di Milano dove la filosofia è quella di proporre delle comunicazioni con a fianco le imprese che raccontano le loro ricerche, le loro tecnologie e le loro esperienze progettuali. L’importante è che ci sia una risaldatura forte tra imprese e formazione.

Ci può illustrare la genesi e le caratteristiche del “Progetto Rinascimento” sviluppato con Sistem Costruzioni?
Ci siamo incontrati con Sistem Costruzioni tre anni fa perché stavamo cercando un’alternativa per un progetto in Sardegna e abbiamo visto che questa azienda utilizzava in modo molto efficiente e sistematico i pannelli in X-Lam. Questa esperienza ci ha interessato molto e abbiamo cominciato a immaginare come, al di là del grande uso che se ne fa nei villaggi turistici e in determinati territori, si poteva utilizzare questa tecnologia anche in contesti urbani. Sistema Costruzioni era appena uscita dall’esperienza del terremoto in Abruzzo e da lì siamo partiti per realizzare il sistema chiamato Rinascimento che si basa sull’uso della tecnologia del pannello X-Lam con la sua capacità di articolarsi nelle tre dimensioni dello spazio con delle prestazioni di altissimo livello e contemporaneamente vedere come quelle strutture potevano sposarsi con il completamento dell’architettura sia all’esterno che all’interno.
Il primo episodio è stato un progetto dove in 28 giorni dallo schizzo siamo riusciti a realizzare un edificio campione che rappresentava uno spaccato di una casa di appartamenti. Abbiamo coinvolto anche aziende che lavorano nell’interior design, nell’illuminotecnica, nell’idraulica, nei serramenti per arrivare a un progetto coordinato che comprendesse tutti gli aspetti dell’edificio, sia quelli strutturali ed esterni sia quelli impiantistici ed interni. Poi questo progetto è andato avanti ed è sfociato in quello che abbiamo presentato in occasione di Made Expo 2012: il concept Space for Life che ha costituito un punto di attrazione e di interesse nella fiera. Abbiamo dimostrato come queste architetture possano essere considerate come micro-architetture in grado di essere sviluppate per dei contesti di emergenza dove intervenire con qualcosa di fatto bene, di prestazionale e veloce che non sia la tenda (il nostro riferimento era il recente terremoto in Emilia Romagna) che, articolate in diverse dimensioni, vanno a costituire addirittura dei villaggi. In altre parole, la capacità di esprimere architettura di qualità con finiture diverse in tempi molto contenuti, ma di altissimo livello. Abbiamo costituito una cordata con diverse aziende e siamo riusciti a realizzare dalla struttura in legno fino all’impiantistica di alte prestazioni. Pensiamo di pubblicare un libro su questo tema in modo tale che possa contribuire alla diffusione di questa cultura della materia legno. Abbiamo inoltre realizzato, insieme all’azienda con cui abbiamo collaborato, uno studio comparato delle caratteristiche di edifici come i nostri paragonate a quelle di edifici di altro tipo per confrontare vari parametri (tempi, costi, ecc.) e pensiamo di estendere questi concetti ad un progetto di un villaggio turistico importante cui stiamo lavorando in Sardegna.

Proprio per le caratteristiche che abbiamo esaminato il legno sembra il materiale più adatto da impiegare nel cosiddetto “social housing”. Qual’è la sua opinione in proposito?
Costi di produzione contenuti e tempi ridotti candidano naturalmente gli edifici in legno al settore del social housing ossia, per non usare inutilmente un termine inglese abusato, gli edifici che devono costare il giusto per essere offerti ad una determinata fascia di popolazione, ma che devono possedere le qualità dell’abitare di oggi, altrimenti se continuiamo con i concetti del passato avremo un social housing che riproduce quella che definivamo prima un’architettura “sovietica”, ovvero le case cosiddette popolari che sono andate a costituire ambienti degradanti anche da un punto di vista umano. Non si capisce perché se uno è povero deve andare ad abitare in un contesto deprimente.
Certe realizzazioni di edilizia popolare dei primi del Novecento hanno delle qualità architettoniche notevoli che permetterebbero di fare degli interventi di recupero efficaci e lo stesso discorso vale anche per i casermoni che abbruttiscono le nostre periferie; in entrambi i casi il legno potrebbe svolgere un ruolo da protagonista nel ripensare contesti abitativi all’insegna di un’architettura di qualità.

LINK
www.studiomarcopiva.com


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