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Kengo Kuma. Selected work 1994-2004

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A tre anni dall’esposizione itinerante in Italia e all’estero, torna a Siracusa la mostra delle maggiori opere del famoso architetto giapponese

Torna a Siracusa la mostra itinerante “Kengo Kuma. Selected work 1994-2004”, curata da Luigi Alini, ricercatore presso la Facoltà di Architettura di Siracusa
La mostra viene riproposta 3 anni dal suo debutto e dopo un tour espositivo che da fine giugno del 2005 ha toccato molte città italiane come Napoli Roma, Como, Milano, Ascoli, Bolzano, ma anche estere da Stoccolma a Orleans.

“Kengo Kuma. Selected work 1994-2004” è frutto della collaborazione tra la Provincia Regionale di Siracusa e la Facoltà di Architettura della stessa città., e nasce per raccontare il lavoro di uno degli interpreti più noti e sensibili del progetto contemporaneo.

La mostra riproduce infatti in 6 box, sei contenitori funzionali atti al suo trasferimento in più sedi, i lavori più rappresentativi da lui realizzati a cavallo del decennio 1994 – 2004.

Tra essi il padiglione Oribe T-House, una struttura soffice, intima, realizzata interamente in policarbonato alveolare posto su una pedana retro-illuminata di mattoni di vetro prodotti da Seves glassblock: la testimonianza diretta da un lato della ricerca paziente e sperimentale che Kuma da sempre conduce sulla materia, dall’altro dell’attenzione che l’azienda fiorentina dedica ai contenuti della architettura contemporanea, patrocinandone le iniziative atte a portare informazione e fare cultura.

Qui di seguito riportiamo un’intervista rilasciata da Luigi Alini, curatore e riferimento italiano di Kuma, in occasione del ritorno della mostra alla Facoltà di Architettura di Siracusa che la ospiterà in modo permanente.

Da dove nasce l’interesse per il lavoro di Kengo Kuma?
Viene da molto lontano, non solo in senso temporale. Ho incontrato l’architettura di Kuma circa 10 anni fa. E’ stata una folgorazione. Da allora continuo a studiare le sue opere, che mi riservano sempre nuove sorprese. E’ il suo intimo lavorio sulla materia e con la materia che mi sorprende sempre. Kuma ha la capacità di andare ‘oltre’, di travalicare la sostanza fisica della materia e rivelarcene la natura misteriosa.

Come è nato il progetto della mostra?
Da una sfida. Dieci anni fa ho cominciato una ricerca sul lavoro di Kuma, ricerca che mi ha portato in Giappone per approfondire, osservare, visitare le sue opere. Un lungo ‘cammino’ di ‘avvicinamento’ al lavoro di Kuma, durante il quale mi rendevo conto di quanto fosse poco conosciuta in Italia la sua intensa attività. Contemporaneamente alla pubblicazione della monografia (Luigi Alini, Kengo Kuma. Opere e progetti, Electa, Milano, 2005) nella collana “Documenti di Architettura” di Electa decisi insieme a Kuma che era necessario organizzare una mostra itinerante in Italia. Volevo avviare una ‘riflessione allargata’ intorno al suo lavoro.
Volevo che il suo messaggio arrivasse ad un pubblico vasto e di non soli ‘cultori’. Avevo ragione. La mostra ha avuto un grandissimo successo. Nel suo progressivo itinere la mostra si è poi arricchita continuamente di nuove informazioni.
Le richieste sono state moltissime ed ovviamente non sempre abbiamo potuto assecondarle. Ancora oggi, a distanza di ben 3 anni è molto richiesta, anche all’estero.
Ad ottobre, all’interno di un progetto di rivisitazione e rimodulazione delle strutture espositive andrà a Chicago, dove terremo una conferenza congiunta Kuma ed io.

Come si articola la mostra ?
L’esposizione privilegia come ambito di indagine le relazioni tra costruzione e figurazione, materia e forma, ideazione e costruzione, aspetti che nell’opera di Kuma sono intimamente connessi.
L’allestimento della mostra è costituito da sei box, che fungono sia da strutture espositive sia da ‘contenitori’ per il trasferimento della mostra nelle diverse sedi. I box, tutti diversi tra loro, sono realizzati con gli stessi materiali impiegati nella realizzazione delle opere esposte.
Questa scelta è tesa a rendere ulteriormente evidente, anche dal punto di vista tattile, percettivo, il ‘principio generativo’ che ha caratterizzato il progetto e la costruzione delle opere. Le architetture sono presentate in relazione a ‘temi radice’, che costituiscono delle invarianti nell’opera di Kengo Kuma: natura/artificio; luce/ombra,semplice/complesso, opaco/trasparente, provvisorio/permanente, massivo/leggero, superficie/profondità, univoco/molteplice, trama/ordito, continuo/discontinuo, ripetizione/variazione, alto/basso.
I Box sono composti di parti fisse e parti mobili, aprendo cassetti, facendo scorrere e ribaltando piani è possibile ‘svelare’ ciò che essi contengono: grafici di progetto, plastici di studio, schizzi, foto delle fasi costruttive. Quest’interazione determina continui mutamenti dello stesso oggetto, che cambia in ragione delle modalità con cui noi ci rapportiamo ad esso.

Qual è il significato del Padiglione Oribe?
Omaggio tributato al maestro di ceramiche Furuta Oribe (1544-1615), il Padiglione, in sintonia con l’estetica zen, si configura come uno spazio di pura contemplazione, uno spazio vuoto a partire dal quale Kuma ‘immagina la materia’, ne esplora le possibilità.
Riflesso e profondità in quest’opera sembrano convivere e lo spazio interno, avvolto in un alone di luce misteriosa, ci rimanda ad una immagine che ha una potenza dirompente, una forza che trascende il suo significato specifico e che parafrasando Warburg potremmo definire un’immagine che ha la memoria del futuro.

Cosa vi ha spinto a scegliere un materiale come il mattone di vetro?
La luce. Era fondamentale per tutti che il Padiglione fosse avvolto in un alone di ‘luce misteriosa’.

Perché avete scelto un mattone di vetro con queste caratteristiche ?
La scelta è il frutto di una decisione estesa a tutte le discipline coinvolte nel progetto. Il design team, oltre Kuma, me e il collega Massimo Perriccioli era formato da Corrado Santarelli della Bayer, Matteo Appignanesi della Targetti e Massimo Davighi di Seves. Abbiamo sempre e costantemente lavorato in maniera simultanea ed integrata. Ogni soluzione è figlia di un equilibrato compromesso tra diverse necessità.

Come si è sviluppato il confronto con Seves glassblock?
E’ stato entusiasmante lavorare con esperti di diversi settori della produzione e portarli tutti entro territori inesplorati.
Ciascuno aveva delle certezze, limitatamente al suo specifico ambito.
Quando agivamo all’interno delle aree di confine, tra una disciplina e l’altra queste certezze cominciavano a vacillare lasciando lo spazio a nuove ipotesi possibili. Ad esempio, la messa a punto della soluzione del pavimento non è stata immediata.
L’architetto Massimo Davighi ha fatto un lavoro straordinario.
Sostanzialmente un prodotto vetroso comunemente utilizzato come elemento verticale, a costituire pareti in vetro mattone, è stato ‘adattato’ ad un uso nuovo. Abbiamo ribaltato fisicamente e concettualmente un sistema, con tutto quello che questo comportava. Massimo, a partire dalla soluzione della parete verticale, ha cominciato a lavorare in forma ‘adattiva’ al nuovo uso. Ovviamente questo comportava la necessità di intervenire sul sistema di illuminazione della pedana, che doveva essere uniforme, diffuso, soft. Sistema che a sua volta doveva produrre un adeguato ‘riverbero’ sul policarbonato.
Per raccontare tutto questo in maniera dettagliata abbiamo deciso di scrivere un libro sul Padiglione.
Penso che solo l’entusiasmo che ciascuno di noi ha messo dentro questa esperienza abbia reso possibile tutto questo.

L’inaugurazione si è tenuta lo scorso 3 Luglio 2008 presso il Palazzo del Governo di Siracusa, e sarà possibile visitarla fino al 28 agosto, tutti i giorni tranne il sabato e la domenica dalle 09:00 alle 18:30