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Recovery Plan: cosa ne pensano gli ambientalisti?

Ecologia e tutela ambientale di
Recovery Plan: cosa ne pensano gli ambientalisti?
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Legambiente analizza il Recovery Plan dal punto di vista dell’ambiente, ne evidenzia le criticità e avanza le sue proposte per una vera svolta green

Il Recovery Plan varato dal Governo Draghi ha come obiettivo la ripartenza del nostro Paese. Una ripresa che, nelle intenzioni, deve anche rappresentare una svolta green. Ma qual è il parere degli ambientalisti sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza?

Legambiente ritiene che il PNRR non sia pienamente coerente con le politiche europee ispirate al Green Deal e alla transizione ecologica e non sia adeguato alle sfide ambiziose che la salute del Pianeta ci impone. Il piano presentato in Parlamento manca ancora dell’allegato con le schede progettuali che restituirebbero più compiutamente la struttura effettiva e le finalità concrete dei poderosi investimenti previsti.

Tra le novità positive si può comunque rilevare lo sviluppo dell’agrivoltaico, la realizzazione di comunità energetiche nei piccoli Comuni, una spinta alla produzione di biometano, i progetti di riforestazione urbana e periurbana, il finanziamento alla bonifica dei siti orfani, ma alcuni significativi segnali di incoerenza rispetto agli indirizzi europei sono, purtroppo, presenti.

Tutte le criticità del Recovery Plan italiano

Il PNRR non è, infatti, adeguato alla sfida lanciata con il recente accordo sulla legge sul clima varata dall’Europa. La lotta alla crisi climatica deve essere una priorità trasversale di intervento del Piano (così come parità di genere, giovani e Sud) e invece su questo tema cruciale si utilizza un approccio timido e incomprensibile.

Viene previsto un aggiornamento del PNIEC con un taglio delle emissioni climalteranti del 51% entro il 2030 rispetto al 1990 (più basso dell’obiettivo già inadeguato del 55% fissato in Europa), mentre il nostro paese avrebbe tutte le carte in regola per arrivare ad una loro riduzione di almeno il 65%, accelerando la transizione energetica investendo di più su rinnovabili ed efficienza (a tal proposito le misure previste sul superbonus del 110% sono assolutamente inadeguate), anziché continuare a puntare sul gas fossile e addirittura su progetti di confinamento geologico dell’anidride carbonica. Sarà inoltre importante un’azione prioritaria per ripensare le città in una chiave sostenibile perché è qui che si concentrerà il cuore della sfida, dalla mobilità all’efficienza, che fino ad ora è mancata e su cui l’Italia avrebbe tutto l’interesse a puntare.

La grande rivoluzione prefigurata dal pacchetto di direttive europee sull’economia circolare varato nel 2018, già praticata da alcune imprese e filiere territoriali, non decollerà senza investimenti adeguati, che ancora oggi non ci sono, per la ricerca sui nuovi materiali, l’infrastrutturazione del paese con impianti industriali per il recupero della materia per i rifiuti di origine domestica e produttiva, la riconversione di cicli e siti produttivi verso la nuova frontiera della bioeconomia.

Lo stesso si può dire anche della mancata coerenza con le politiche europee per latutela della risorsa idrica, della biodiversità e per la sostenibilità del cibo e dell’agricoltura, non accolte nell’ambizione che ha caratterizzato, per esempio, la direttiva quadro 2000/60sulle acque, la Strategia sulla biodiversità e quella dal produttore agricolo al consumatore (“Farm to fork”).

L’Europa sta chiedendo con forza all’Italia di varare le riforme indispensabili per superare tanti cronici problemi del nostro Paese. Si parla molto delle necessarie semplificazioni per la transizione ecologica, ma non si capisce ancora quali saranno. Lo stesso si fa a proposito della riforma fiscale, che ci auguriamo possa intraprendere una volta per tutte la strada della riduzione graduale e inesorabile dei sussidi alle fonti fossili.

Non si affronta, inoltre, il problema del potenziamento del sistema dei controlli ambientali pubblici per velocizzare le istruttorie tecniche di valutazione dei progetti e per ridurre la concorrenza sleale operata da inquinatori ed ecocriminali. Così come deve essere decisamente potenziato, anche dal punto di vista della rapidità ed efficacia degli interventi, l’approccio alla pesante eredità rappresentata dalle bonifiche dei siti contaminati, a partire da quelli di interesse nazionale e regionale.

L’altra grande riforma da adottare, di cui non si fa menzione nel Piano, è quella relativa a nuovi strumenti di partecipazione e monitoraggio civico per realizzare le opere pubbliche e gli impianti, coinvolgendo i territori grazie al dibattito pubblico e all’inchiesta pubblica sulle opere della transizione ecologica. Lo stesso iter di definizione del PNRR prima del suo arrivo in Parlamento è stato caratterizzato da un’assenza di percorsi partecipativi, come già accaduto con l’esecutivo precedente.

Gli ambientalisti sperano che le prossime settimane siano caratterizzate da un dibattito e un confronto aperto, quasi del tutto assente fino a oggi, e le reputano decisive per apportare ulteriori modifiche migliorative ed evitare scelte sbagliate, per le quali confidano in un nuovo aggiustamento di rotta sotto la guida delle istituzioni europee. Non possiamo permetterci in alcun modo di perdere questa straordinaria occasione per rendere l’Italia un paese davvero più verde, innovativo e inclusivo.

Legambiente ha redatto un documento di analisi e proposte.