Quando una calamità colpisce, il ritorno alla normalità non può essere lasciato al caso. Ora l’Italia ha una legge che segna un punto di svolta. È stata approvata in via definitiva la legge quadro sulla ricostruzione post calamità, un provvedimento destinato a diventare la bussola per affrontare le emergenze con visione e coerenza. Non più interventi disomogenei e frammentati: il nuovo impianto normativo crea un sistema organico che mette ordine e strategia nella gestione del ‘dopo’.
Dallo stato di emergenza nazionale (che potrà durare fino a dieci anni) alla nomina automatica di un commissario straordinario, dai criteri per l’assegnazione dei fondi agli edifici privati fino all’integrazione di obiettivi di sostenibilità e sviluppo economico locale: il testo definisce regole e strumenti per pianificare ricostruzioni non solo più rapide, ma anche più sicure e durature.
Secondo Alessandro Sgobbo, del Consiglio direttivo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, la legge rappresenta “una svolta positiva, perché introduce un approccio uniforme ai percorsi di ricostruzione, che in passato erano spesso disomogenei”. Sgobbo, coinvolto in prima linea nella pianificazione per l’isola d’Ischia, sottolinea anche l’importanza di concepire i piani di ricostruzione come strumenti di rigenerazione urbana, capaci di coordinare politiche territoriali e rilanciare i territori.
Ricostruzione post calamità: le criticità della legge
Tuttavia, non mancano i nodi critici. Uno su tutti, il principio del ‘dov’era, com’era’. “È un’idea rassicurante per le comunità - spiega Sgobbo - ma non sempre realistica o sicura. In alcuni contesti, come quelli soggetti a frane o rischi vulcanici, la delocalizzazione è l’unica via per tutelare davvero le persone”.
Per questo l’INU auspica un passo ulteriore: l’introduzione di un ‘principio di intollerabilità’, un limite oltre il quale non è più ammissibile ricostruire negli stessi luoghi. Servono poi linee guida nazionali, che traducano la legge in scelte concrete su scala locale, soprattutto in aree di pregio ambientale, culturale e sociale. Perché ricostruire non significa solo rimettere in piedi ciò che c’era, ma decidere come, e dove, ricominciare.