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Umidità nelle case: ecco come si combatte

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Una carrellata di sicuro interesse per i partecipanti del seminario su “Le ricette del restauro” quella che ha visto succedersi materiali e tecniche per il recupero edilizio di qualità

Il seminario, il cui focus era sull’umidità di risalita, si è articolato per così dire in due fasi, la prima concernente la “diagnostica” e la seconda sulle tecniche ed i materiali innovativi per l’opera di risanamento.

Il primo intervento “Umidità di risalita e fenomeni di degrado nell’edilizia storica”, ha visto Giulio Mirabella Roberti - professore associato dell’Università degli Studi di Bergamo, docente supplente nell’area ricerca dell’Università Iuav di Venezia - esporre alcuni casi emblematici, parte di una ricerca tuttora in corso, di costruzioni e restauri effettuati su edifici della Serenissima.

Le problematiche in esame denotavano il deterioramento delle costruzioni dovuto all’azione costante degli elementi naturali (acqua nel caso di Venezia). La manifestazione del degrado, secondo Giulio Mirabella Roberti, non è conseguenza solo delle condizioni esterne ma anche del tipo di muro, vale a dire della sua consistenza e/o porosità. Poiché il muro si consuma per l’effetto disgregante dei sali presenti nelle malte e nell’acqua di cui è impregnato, non è sufficiente interrompere il regime di umidità ma, per un restauro di qualità che duri nel tempo, occorre anche valutare come il materiale presente ha reagito.

Mattoni più recenti rispetto a quelli dell’epoca di costruzione, o di composizione diversa, reagiscono in maniera differente, così come le malte. Si assiste spesso a fenomeni in cui si è privilegiato, nel corso dei restauri, l’uso di malte di recente formulazione associate a mattoni di recupero, cioè di vecchia fabbricazione. In questi casi, la disgregazione ha assalito in maggior misura i mattoni, fino a distruggerli completamente mentre la malta è rimasta pressoché intatta.

Cantini Lorenzo, professore a contratto del Politecnico di Milano, Dipartimento di ingegneria strutturale, laboratorio prove materiali, ha introdotto “La diagnostica del restauro” spiegando le potenzialità del metodo termografico. Questa metodica consente, partendo dal terreno, di definire la tecnica costruttiva e di accertare la presenza di parti o coperture lignee, o di altri materiali. L’obiettivo è di arrivare ad identificare un modello strutturale della costruzione in esame.

La termografia opera nella banda delle radiazioni infrarosse e sfrutta la proprietà di ogni materiale di emettere energia in questo campo di radiazione sotto forma di radiazioni elettromagnetiche. Secondo il grado di umidità, lo strumento termografico renderà un’immagine con diverse colorazioni che consentono di individuare le aree problematiche e le eventuali cause.

È stata poi la volta di Daniele Tarabini di Biodry, azienda che offre soluzioni in caso di umidità da assorbimento. Il dispositivo messo a punto dall’azienda è, secondo il relatore, risolutivo per qualsiasi problematica legata all’umidità dei muri e può essere utilizzato con la sola esclusione dei casi di allagamento.

Il servizio di prosciugamento è garantito per 3 anni. Il sistema, in estrema sintesi, consiste nell’applicazione, sui muri interessati da umidità, di un dispositivo che inverte il differenziale elettrico. Questo fa sì che l’acqua, anziché risalire, discenda nel terreno. Questo intervento comporta la regressione dell’umidità riportandola in determinati parametri, ritenuti naturali ed accettabili perché il muro sia ritenuto asciutto. L’azienda effettua inoltre verifiche periodiche per accertare che l’umidità sia nei parametri stabiliti.

Infine, la parola all’esperto sui materiali, Luigi Vantangoli, responsabile tecnico di Quarto Forno - sistemi bioedili certificati. Secondo Vantangoli occorre saper individuare il prodotto giusto secondo il tipo di supporto sul quale si interviene, sottolineando quanto la calce, nella sua semplicità, abbia costituito e costituisca tutt’oggi, salvo casi particolari, il migliore dei materiali per gli intonaci. Attualmente, dato l’elevato utilizzo di intonaci cementizi o premiscelati, il suo uso è fortemente limitato poiché su questo tipo di supporto non ha buona presa e l’intervento di restauro avrà durata inferiore nel tempo.

Scendendo più in dettaglio, spiega Vantangoli, in caso di piogge copiose la calce assorbe e trasmette l’acqua anche all’intonaco. Quando in fasi successive avviene poi l’evaporazione dell’umidità assorbita, i sali del cemento e gli additivi - presenti nei premiscelati - disciolti nell’acqua affiorano in superficie causandone nel tempo il deterioramento o il distacco. La conclusione del tecnico è, quindi, che l’avvento del cemento abbia abbassato la durabilità degli intonaci a causa dell’azione corrosiva e disgregante dei sali in esso contenuti, principalmente nitrati, solfati e gesso.

Infine, un excursus sulle metodiche di costruzione antiche ha evidenziato come oggi non esista più il giusto rapporto tra giunto e mattone. In ultima analisi è poi emerso chiaramente che gli intonaci a calce sono migliori e durano più a lungo di quelli di cemento: sono trenta volte più elastici (caldo-freddo) sono dieci volte più traspiranti (non fanno da barriera al vapore) e, ultimo ma non per importanza, questa proprietà fa sì che non si trasmetta corrente elettrica al muro.

Sembrerebbe quindi necessario un ritorno alle buone tecniche del passato e, da questo punto di vista, il nostro territorio è già in grado di rispondere adeguatamente ad una nuova richiesta di qualità. Non dimentichiamo che Varese è tuttora una provincia di eccellenza per gli intonaci e che gli antichi stuccatori varesotti erano rinomati e richiesti anche da Milano per la loro bravura.