La tecnica del Pisè prevede quindi l'impiego di una miscela di sabbia, ghiaia e argilla - a cui viene aggiunta poca acqua – e che successivamente viene compattata in casseforme per costruire muri.
La tecnica si diffuse nel mondo dopo che i cinesi, circa 4.000 anni fa, iniziarono ad utilizzarla per costruire le mura attorno ai propri insediamenti.
Secondo gli studiosi dell'università di Durham, la robustezza di questa tecnica di costruzione risiede proprio nel grado di umidità, ovvero nella quantità d'acqua utilizzata per compattare gli elementi sabbiosi.
Le analisi di campione hanno provato che quando i muri si asciugano, trattengono una quantità d'acqua minima tale da rendere resistente la struttura, infatti l'equilibrio che si instaura tra le particelle di terra dà compattezza e solidità.
“Sappiamo che le strutture costruite con il Pisè dimostrano un'elevata resistenza nel tempo, ma fino ad oggi non si era giunti a comprendere da cosa derivasse questa resistenza,” ha commentato il dott. Charles Augarde del dipartimento di ingegneria dell'università di Durham.
“I test che abbiamo svolto inizialmente evidenziano che la resistenza è imputabile alla quantità di acqua contenuta. Ampliando le nostre conoscenze a questo proposito - prosegue Augarde - siamo in grado di iniziare ad analizzare quali implicazioni potrebbe avere l'impiego del Pisè come tecnica edile a basso impatto ambientale per la progettazione di nuovi edifici e per la conservazione di edifici antichi edificati secondo la stessa.”
Questa scoperta è molto importante per la bioedilizia: il materiale facilmente rintracciabile perchè disponibile in loco, sostituisce il cemento che è responsabile del 5% delle emissioni di biossido di carbonio (gas inodore ed incolore molto nocivo per la nostra salute).
