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Appalti pubblici: la pubblicità vale come retribuzione?

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Appalti pubblici: la pubblicità vale come retribuzione?
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Il TAR Lombardia s’è espresso sul ricorso di uno studio di ingegneria. Vediamo cosa dice la sentenza e leggiamo il commento di Fondazione Inarcassa

Il prestigio derivante dall’acquisizione di un appalto, soprattutto in alcuni casi, è innegabile. Ma questa buona pubblicità può integrare un compenso modesto, o addirittura sostituirlo? Una sentenza del TAR Lombardia fa discutere. Andiamo a scoprire di cosa si tratta.

La sentenza n. 2044 del 30 ottobre scorso boccia il ricorso di uno studio di ingegneria che, classificatosi secondo in graduatoria, aveva contestato al giudice amministrativo la valutazione dell’offerta economica presentata dal gruppo aggiudicatario per l’incarico dei lavori di realizzazione di una nuova scuola secondaria di primo grado sul territorio del comune di Casatenovo. Tra i vari punti oggetto del ricorso, si legge nella sentenza, è di particolare interesse la contestazione pervenuta da parte dello studio secondo in graduatoria relativamente all'offerta economica dell'aggiudicatario, ritenendo, infatti, che essa non consentisse neanche il minimo utile di impresa.

Il giudice amministrativo ha rigettato tale accusa perché non è stata data prova della (presunta) anomalia dell’offerta che, pertanto, è stata considerata congrua. Ma la congruità deriva, secondo il Tar Lombardia, anche da fattori non necessariamente economici, ad esempio, dal prestigio dell’appalto e, di conseguenza, dell’opera finale. Si legge nella sentenza: "...un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell'attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l'impresa dall'essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico”.

La posizione di Fondazione Inarcassa

In questo modo, il giudice amministrativo conferma un orientamento della giurisprudenza che consente agli operatori economici di presentare offerte, di fatto anomale, prossime allo zero, pur di aggiudicarsi l’incarico. Quei vantaggi 'indiretti' che secondo il giudice possono derivare dal prestigio dell’appalto non compensano affatto il fattore economico che resta, invece, fondamentale. “La pubblicità - ha commentato il presidente, ing. Franco Fietta - non può in alcun modo equivalere ad una effettiva remunerazione. Al contrario il compenso economico di un professionista deve necessariamente essere proporzionato all’opera prestata calcolata in base al DM, e non ribassato per eventuali vantaggi ‘indiretti’ sotto forma di pubblicità o curriculum”.