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Il Piano Casa per l’edilizia sociale è stato approvato dalla Consulta

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Pur bocciando alcune norme ritenute lesive del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, una sentenza della Corte Costituzionale, esaminata dall'Ance, fa salvo il Piano casa per l'edilizia sociale


All`indomani del varo del Piano nazionale di edilizia abitativa di cui all`articolo 11 del decreto legge 112/2008 molte regioni (Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Umbria, Toscana, Puglia, Campania, Valle d`Aosta, Sicilia, Lazio e Toscana) promossero varie questioni di legittimita` costituzionale dinanzi alla Consulta rivendicando la propria competenza legislativa sulla definizione dei programmi di edilizia abitativa ed evidenziando che, trattandosi di materia concorrente (nella specie quella del ``governo del territorio``) lo Stato non potrebbe definire nel dettaglio quelli che sono i requisiti dei beneficiari e le modalita` di attuazione. Altrimenti, a giudizio delle ricorrenti, residuerebbero pochi spazi per una disciplina regionale attuativa.

Secondo la Corte con il Piano nazionale di edilizia abitativa lo Stato in realta` si e` limitato a fissare i principi generali che devono presiedere alla programmazione nazionale e a quelle regionali nel settore. La Corte ha, infatti, ribadito il principio gia` affermato in precedenza, in base al quale la determinazione dei livelli minimi di offerta abitativa per specifiche categorie di soggetti deboli non puo` essere disgiunta dalla fissazione su scala nazionale degli interventi allo scopo di evitare squilibri e disparita` nel godimento del diritto alla casa da parte delle categorie sociali disagiate.

Cio` non toglie, tuttavia, ha precisato la Corte nella sentenza n. 121/10, che la disciplina posta dallo Stato debba in ogni caso assicurare idonee procedure di leale collaborazione. Per tale motivo i giudici hanno dichiarato l`incostituzionalita` del comma 4 dell`art. 11 del decreto legge n. 112/08 nella parte in cui prevede che ``decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta la predetta intesa, gli accordi di programma possono essere comunque approvati``.

Infatti, mentre la prima parte della norma correttamente stabilisce che gli accordi di programma, siano approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera del CIPE, d`intesa con la Conferenza unificata, con cio` assicurando il necessario momento di raccordo tra Stato e Regioni nella fase della realizzazione del piano nazionale l`ultimo periodo deve ritenersi lesivo del principio di leale collaborazione.

La seconda parte della norma era invece relativa alla possibilita` che gli accordi di programma potessero essere approvati direttamente dal Ministero delle infrastrutture. Secondo la Corte cio` vanifica la previsione dell`intesa, in quanto si attribuisce ad una delle parti ``un ruolo preminente, incompatibile con il regime dell`intesa``. Peraltro la Corte ha dichiarato illegittimo anche il richiamo alle procedure approvative previste per le opere strategiche (art. 11 comma 9).

E` stata poi ritenuta costituzionalmente illegittima la norma di cui alla lettera e) del comma 3 dell`art. 11, limitatamente alla parola ``anche``, premessa a ``sociale``, in quanto consente l`introduzione di finalita` diverse da quelle che presiedono all`intera normativa avente ad oggetto il piano nazionale di edilizia residenziale pubblica.

Su tale aspetto la Corte ha chiarito che, proprio in considerazione del carattere sociale del piano nazionale, la potesta` legislativa concorrente dello Stato non puo` estendersi eventualmente ad altre finalita`, non precisate e non preventivamente inquadrabili nel riparto di competenze tra Stato e Regioni. Non e` ammissibile quindi che nel piano nazionale, trovino posto programmi integrati per promuovere interventi di edilizia residenziale non aventi carattere sociale.