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Trentino Sicurezza: progettare la messa in sicurezza delle coperture

Sicurezza e Sistemi di Protezione di
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Studio su “La progettazione della messa in sicurezza delle coperture inizia col porsi preliminarmente tre domande, come, quando e soprattutto perché” del Dr. Isidoro Ruocco


Il Dott. Isidoro Ruocco, della Trentino Sicurezza S.r.l. ha reso noto un apprfondimento sul problema della sicurezza delle coperture, che vi proponiamo di seguito.

Tutte le pubblicazioni sinora edite, che ho avuto possibilità di studiare, hanno, più o meno appropriatamente, affrontato il problema del “come”, ma ciò è solo la corretta applicazione dei principi che troviamo sanciti in numerose norme, alcune vecchie di decenni (D.P.R. 165/56), altre dei nostri giorni.

Molti, prima di me hanno cercato di affrontare il problema e si sono accontentati di rispondere alla prima domanda, ma ritengo che il “come” non sia il punto della questione.

Anzi, il “come” a ben vedere dipende direttamente da come di riesce a dare risposta al quando e da come si vuole approcciare al perché, che a mio parere costituisce il vero fulcro della questione.

Infatti, chiarendo a fondo il perché, avremmo e la possibilità di porci gli obiettivi che vorremo raggiungere con un’attentata e precisa progettazione.

Dunque, perché progettare la messa in sicurezza delle coperture?
La più ovvia delle risposte è naturalmente perché lo prescrive la legge! Ma, verrebbe anche da obbiettare che la legge lo prescriveva anche nel 1956, lo riprescriveva nel 1994, con l’art. 6 del d. lgs. 626, veniva riprescritto nel 1996, col d. lgs. 494, obbligando i coordinatori della sicurezza a prevedere apprestamenti (e/o impianti) fissi sugli edifici.

E, di più, oggi sia il d. lgs. 81/2008 che le varie leggi e regolamenti regionali (d.g.r. Lombardia, l.r. Toscana, l. p.a. Trento), ne prescrivono l’obbligatorietà, pena le sanzioni penali del primo ed il mancato rilascio del certificato di agibilità per le altre.

Io credo che non sia questa la risposta corretta, si sarebbe potuto continuare ad aggirarle, tanto in galera non ci va nessuno.
Se si inizia a scrivere su come mettere in sicurezza le coperture è segno che c’è chi si pone il compito di indirizzare il cambiamento di tendenza, facendo assumere coscienza ai professionisti sui risultati che si vogliono ottenere. Ciò, in assenza di qualsiasi indicazione da parte degli Organi istituzionali (Ministero, Ordini professionali).

Invero, l’I.S.P.E.S.L., con la propria pubblicazione “ Linee guida per la scelta, l’uso e la manutenzione di dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto, sistemi di arresto caduta” ha offerto un ottimo strumento di consultazione, che ha il pregio di affrontare in dettaglio l’intera problematica delle cadute dall’alto. Chi utilizza tale pubblicazione come strumento per il proprio lavoro quotidiano, avrà potuto valutare la completezza e l’esaustività dei contenuti della stessa.

Tornando al “perché” ed agli obiettivi che da esso discendono, preciso che non intendo affrontare la questione dal punto di vista etico-sociale, molti autori l’hanno fatto ed altri continueranno a farlo meglio di me.
Qui preciso solo che è proprio affrontando la questione da questo lato che si possono determinare gli obiettivi che poi vorremmo raggiungere. E, dunque, se eticamente il rispetto delle norme antinfortunistiche é basato sulla condivisione dei principi su cui le stesse poggiano, l’effettività, intesa come massima esplicazione del principio normativo, si fonda sul massimo consenso raggiunto tra coloro che sono i destinatari, i quali hanno cognizione e convinzione del fatto che il rispetto della norma serve, da un lato, a salvaguardare la vita umana e dall’altro a rispettare i contratti stipulati dai consociati, tra questi quelli di lavoro, ma anche quelli di appalto.

Per concludere, sostengo che, come il rispetto delle norme non è fine a se stesso, la messa in sicurezza delle coperture, tanto nell’esercizio dell’attività d’impresa, tanto nella costruzione di un edificio privato, realizza non più l’assunzione del “rischio d’impresa” in capo a chi “esercita l’impresa” ( trasferendo poi sulla collettività gli effetti negativi di tale esercizio, gli infortuni), ma previene, o meglio, impedisce l’insorgenza di tali esiti ed in tal modo contribuisce a mantenere la “pace sociale”.

Non solo, usando le parole del senatore C. Smuraglia,“occorre superare la profonda contraddizione di un sistema che ancora oggi consente che di lavoro ci si ammali e si muoia”.

In ciò il mio perché e da questo il mio obiettivo primario, quando mi accingo a progettare la “messa in sicurezza di una copertura”, cioè cercare di impedire che nella fase di manutenzione dell’edificio vi possano essere condizioni che in grado di generare infortuni.
Naturalmente, miro al risultato ad un costo che tenga conto della minor spesa iniziale (installazione degli impianti fissi anticaduta) e degli oneri successivi emergenti, appunto, nella fase di manutenzione dell’immobile.

Questo secondo argomento mi porta immediatamente alla seconda domanda, concentrando però l’attenzione sulla fase operativa, “quando”?

La risposta non può che essere una sola, se correttamente progettata, la messa in sicurezza della coperturaDEVE essere eseguita nella fase di realizzazione della copertura, in particolare immediatamente dopo la realizzazione della struttura portante del tetto.

Quindi, i progettisti, i direttori lavori ed i coordinatori della sicurezza, hanno un solo unico momento (utile) per programmare e far realizzare la corretta installazione dei dispositivi fissi anticaduta.

Prima sarebbe impossibile posizionarli, dopo importerebbe la necessità di reintervenire sul manto di copertura appena realizzato, con costi accessori inutilmente spesi per l’apertura e la chiusura dello stesso manto impermeabilizzante, a tutto danno del committente.

Date le premesse, ci resta una sola riflessione, non solo legalmente, ma anche dal punto di vista delle procedure edificatorie, ai tecnici è rimessa la responsabilità di una corretta progettazione prima ed una puntuale programmazione della messa in opera dei sistemi anticaduta, dopo.

Ora non resta che affrontare la questione del “come”.

Cioè come progettare materialmente (e correttamente) la messa in sicurezza di ogni copertura.
Le questioni da affrontare e risolvere in sede di progetto, per mettere in sicurezza una copertura, variano, come sappiamo, in funzione di svariati fattori, quali la forma e la dimensione della pianta dell’immobile, l’altezza delle fronti, la presenza di ostacoli e/o fori sia sulla copertura, sia sulle pareti, le pendenze delle falde, ecc.

L’argomento pretenderebbe un esame approfondito dei singoli argomenti, accompagnato da esempi concreti, analisi che qui, per ovvie ragioni di spazio, è difficile realizzare.

Diversamente è possibile dare delle indicazioni a carattere generale, che possono aiutare i tecnici nella loro attività di progettazione di un “sistema anticaduta fisso”.

Prima di tutto, considerato che i dispositivi anticaduta rientrano nei DPI di 3^, secondo quanto prescritto dal d. lgs. 475/1992, scegliere solo prodotti marcati CE.

Secondo punto: in funzione di quanto si voglia far costare la manutenzione dei manti di copertura e dei dispositivi stessi, scegliere prodotti che possano deformarsi in tutto, in parte o niente. In relazione a ciò, si sappia che le deformazioni strutturali dei componenti dei sistemi anticaduta obbligano una manutenzione che prevede la loro sostituzione; in riferimento a ciò, si dovrà anche considerare che la sostituzione dei componenti comporta necessariamente la manutenzione delle strutture del tetto e dei rispettivi manti di copertura, con i relativi costi.

Terza considerazione preliminare: la fruibilità del sistema anticaduta da parte dell’utilizzatore, infatti è dimostrato che più i sistemi anticaduta sono difficoltosi nell’uso, meno saranno utilizzati da parte dei lavoratori addetti alla manutenzione.

Conseguenza è che, se i dispositivi installati non verranno utilizzati, avremmo fatto spendere inutilmente soldi al nostro committente, il quale rimarrebbe esposto (nonostante la spesa) a responsabilità risarcitoria, assieme al progettista, al direttore lavori ed al coordinatore della sicurezza (se nominato).

Questi tre livelli di valutazioni preliminari, non esauriscono le questioni che i tecnici, deputati alla messa in sicurezza delle coperture, debbono considerare, ma possono costituire la base da cui partire per effettuare uno screening degli obiettivi e la scelta dei prodotti da installare.