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Case Green: le idee degli ingegneri per un Piano Nazionale

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Case Green: le idee degli ingegneri per un Piano Nazionale
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Per adeguarsi alla Direttiva Case Green, le sfide sono molte e il carico che si pone sui Paesi e sulle famiglie è consistente. Come centrare l’obiettivo?

La Direttiva Europea sulle Case Green impone all’Italia uno sforzo sulle ristrutturazioni che coinvolgerà milioni di famiglie. Come aiutarle? Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha lanciato l’idea di un Piano Nazionale. Scopriamo di più.

Dal 2025 non sarà possibile usufruire di incentivi per le caldaie a combustibili fossili, ma questo forse è il meno, in quanto dal 2040 questo tipo di impianti sarà vietato; resteranno invece incentivabili i sistemi di riscaldamento ibridi (caldaie e pompe di calore). I Paesi membri dovranno provvedere a ridurre del 16% i consumi energetici degli edifici al 2030, considerando come anno di inizio il 2020 e attestarsi ad una riduzione del 20-22% al 2035, intervenendo sia con nuove costruzioni ad impatto zero che, soprattutto, attraverso opere di ristrutturazione di edifici esistenti, intervenendo, in una prima fase, sul 43% di quelli più energivori.

A partire dal 2028 gli edifici pubblici di nuova costruzione e dal 2030, tutte le altre tipologie di nuovi edifici, dovranno essere ad emissione “zero” di combustibili fossili. Entro il 2025 ciascun Paese dovrà presentare alla Commissione Europea un Piano nazionale di ristrutturazione che individui l’esatto percorso e le metodologie di intervento finalizzate a raggiungere il taglio dei consumi energetici derivanti da fonti fossili. Sullo sfondo restano, tuttavia, molti punti essenziali da chiarire e soprattutto fondamentali questioni di metodo da definire.

Cos’è emerso dalla prima analisi del CNI?

Si possono individuare alcuni aspetti rilevanti che emergono da una prima analisi condotta dal Centro Studi CNI.

Il primo riguarda l’individuazione di tecniche e tecnologie da mettere in campo per raggiungere il primo step di riduzione del 16% di consumi energetici per il 2030 e poi il secondo step previsto per il 2035. Aver lasciato ad ogni singolo Stato la scelta delle modalità e del mix di strumenti da mettere in campo è forse l’aspetto più rilevante e positivo della Direttiva approvata. Sulla base dell’esperienza condotta dal settore dell’ingegneria nell’ambito del Super ecobonus, il doppio salto di classe energetica, pur rilevante, appare oggi troppo vincolante. Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, considerata la mole delle attività di progettazione di cantiere degli ultimi tre anni, è convinto che si possano mettere in campo mix di interventi differenti, a seconda di condizioni strutturali diverse, per raggiungere gli obiettivi fissati dalla Direttiva, garantendo efficienza tecnica e efficacia in termini di spesa.

Tutto questo presuppone, però, di avere un quadro molto preciso delle condizioni di dispersione termica ed anche strutturale degli edifici su cui occorrerà intervenire. La Direttiva prevede inoltre che l’intervento massiccio di ristrutturazione inizi dagli edifici più energivori, ma in realtà, non si sa con esattezza quali essi siano. Sappiamo ad esempio, attraverso la banca dati Enea sulle Attestazioni di Prestazione Energetica, che gli immobili residenziali nelle classi meno performati, ovvero E, F e G rappresentano il 70,1% del totale dei 12 milioni di immobili presenti in Italia. Ragionando in termini di unità abitative occupate da residenti (escludendo le case vacanza o seconde case), secondo le stime del Centro Studi CNI, quelle più energivore, secondo la classificazione nazionale (classi E, F e G), sarebbero 13,4 milioni. Si tratta però di stime di massima che il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ritiene insufficienti.

Per poter progettare nel modo più efficace possibile, senza sprechi di risorse finanziarie, un intervento così massiccio come richiesto dalla Direttiva EPBD richiede un livello di dettaglio ben più elevato di quello di cui si dispone attualmente. Da tempo, infatti, il Centro Studi CNI ha messo in evidenza la carenza di dati di dettaglio sullo stato effettivo del patrimonio edilizio e la mancanza di diagnosi energetiche degli edifici (l’APE non è una diagnosi energetica) che consentano sia di stabilire una scala di priorità che un insieme di interventi differenziati a seconda delle condizioni dei singoli edifici su cui si intende intervenire.

Un secondo aspetto di assoluta rilevanza, strettamente connesso al primo, riguarda il rinnovo progressivo degli impianti termici, dato che saranno ammessi solo quelli ibridi e poi vietati quelli alimentati da fonti fossili (nel 2040). Anche se si tratta di un processo di medio-lungo termine, occorre chiarire molti aspetti, comprendere cosa sia possibile e conveniente fare, nel breve e medio periodo, nel caso di urgente sostituzione degli impianti, anche perché le fonti alternative e non inquinanti per uso domestico, come l’idrogeno verde, non arriveranno molto presto nelle singole abitazioni in Italia. Occorre definire sin da ora un modus operandi, perché non è possibile lasciare alle singole famiglie la scelta ottimale su aspetti tecnici che avranno peraltro costi considerevoli.

Il terzo aspetto riguarda proprio il reperimento e la predisposizione di un piano finanziario che consenta, attraverso l’imprescindibile compartecipazione tra risorse pubbliche e private, di realizzare interventi di ristrutturazione nel lungo periodo. Anche sulla scorta dell’esperienza maturata in Italia con i Superbonus, sappiamo che realizzare piani simili a totale carico dello Stato è impossibile, così come è impensabile però immaginare che quote consistenti di un intervento che rientra comunque nell’alveo delle politiche sociali e per la tutela dell’ambiente, possano essere pagate dai singoli proprietari di immobili. Occorre trovare una via di mezzo e mettere in campo strumenti che siano molto più evoluti di una semplice detrazione fiscale. In questo senso la Direttiva EPDB dedica alla questione dei finanziamenti dei Piani nazionali di ristrutturazione diversi punti della prima parte, in particolare i punti da 59 a 63, che tuttavia rimandano l’individuazione di strumenti ai singoli Stati, parlando di mutui ipotecari verdi e di misure a sostegno delle famiglie meno abbienti. Purtroppo si tratta di indicazioni piuttosto generiche, su cui il nostro Paese dovrebbe sin da ora iniziare a trovare delle soluzioni precise, coinvolgendo il settore bancario e finanziario e molteplici altri attori del sistema delle costruzioni, per non ricadere nella situazione caotica e sostanzialmente ingestibile che ha caratterizzato la fase più recente delle ristrutturazioni con Super ecobonus.

D’altra parte non possiamo sottacere che le famiglie interessate a spese di ristrutturazione potrebbero essere numerose. Il Centro Studi stima che la prima parte di interventi ritenuti più urgenti, relativa, secondo le indicazioni della Direttiva, al 43% degli edifici più energivori coinvolgerebbe 11,8 milioni di alloggi utilizzati da residenti (sono quindi escluse le seconde case) e quindi altrettante famiglie. I risvolti sociali di tale operazione non possono essere sottovalutati.

Un quarto aspetto riguarda la necessità di prevedere sin da ora che il piano di efficientamento energetico, almeno degli edifici più vetusti, sia accompagnato da una verifica di staticità e di sicurezza antisismica. Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri considera questa una condizione imprescindibile per poter realizzare interventi impegnativi come quelli richiesti dall’Unione Europea, tenendo conto che alcuni interventi di coibentazione spesso portano inavvertitamente a nascondere, se non individuati tramite apposita diagnostica, danni strutturali che sarà poi impossibile monitorare e riparare.

L’ultimo aspetto, forse quello di maggiore rilevanza strategica, riguarda i tempi dettati dalla Direttiva EPBD. La riduzione dei consumi di energia da fonti fossili vede una prima tappa (particolarmente consistente) nel 2030 ed una seconda tappa nel 2035. La Direttiva otterrà l’approvazione finale del Consiglio verosimilmente non prima della seconda metà dell’anno. Poi, entro la fine del 2025, il nostro Paese dovrà definire e consegnare il Piano nazionale di ristrutturazione, il documento in assoluto più complesso. I tempi operativi veri si riducono enormemente perché, se così fosse, ciò vorrebbe dire che per raggiungere i primi obiettivi del 2030 ci sono a disposizione meno di 4 anni e poi ulteriori cinque per il secondo step, che, paradossalmente, sarà più complesso e oneroso del primo (in quanto occorrerà intervenire su edifici più nuovi da rendere ancora più efficienti).

Le conclusioni del CNI

Quest'ultima considerazione dovrebbe fare enormemente riflettere le Istituzioni. Dato il pochissimo tempo a disposizione, esse dovrebbero sin da ora iniziare a raccogliere i dati per definire con più esattezza lo stato del patrimonio edilizio, dovrebbero individuare il perimetro di intervento, dovrebbero definire una strategia per “cerchi concentrici” individuando con esattezza il primo cerchio più energivoro e via via i cerchi meno energivori. Se si comprendono le caratteristiche e lo stato degli edifici di ciascun “cerchio ideale”, si è in grado di definire il mix di interventi da apportare per raggiungere (o auspicabilmente superare) quelle soglie di risparmio oggi definite in sede europea. Un secondo aspetto da trattare sin da ora, in parallelo con la mappatura del patrimonio su cui intervenire, riguarda la definizione dei pilastri di un piano di finanziamento di lungo periodo di questi interventi. Ed è altrettanto evidente, infine, che questa consistente e urgente attività di programmazione non potrà avvenire senza un confronto con le categorie professionali tecniche che più hanno lavorato negli ultimi anni nei cantieri, legate alle ristrutturazioni profonde degli edifici.